Tappa sette, da Cesena a San Piero in Bagno (Paganico), alla Fattoria dell’autosufficienza
Da Mama Ro ci siam svegliati rigenerati e siam partiti rinvigoriti grazie a una fantastica torta alla ricotta fatta in casa. L’umore era buono, l’allegria nell’aria. Sarà perché il percorso iniziava in discesa?
Dopo un fugace passaggio nel centro di Cesena, ci siamo però presto ritrovati into the wild. Rami spinosi di acacia che ti arrivavano in faccia pedalando, rovi e ortiche ad altezza polpaccio e coscia, zanzare assatanate e terreno sabbioso e mezzo smottato con piccoli strapiombi sul fiume di sotto. Il fiume Savio, per inciso.
Per finire in bellezza: un bell’albero di 2 metri di diametro in mezzo al sentierino che ci ha impedito il passaggio e costretti a tornare indietro. E vai col secondo giro di waltzer: ortiche, rovi, acacie, zanzare e sabbie mobili.
Ma l’umore ancora reggeva e ci siamo inserpentati su per una piacevole stradina tra campi e colline, ancora clemente in quanto a pendenza. Ci venivano incontro frotte di ciclisti salutanti, probabilmente i partecipanti a una qualche gara. La sera avremmo scoperto che non c’era alcuna gara, era semplicemente domenica, e da queste parti la domenica vanno tutti in bici, tra amici.
Dunque, inserpentati verso San Piero in Bagno, sognando addirittura le terme (ingenui!), l’allegria teneva, la giornata di sole anche. Poi le salite hanno iniziato poco a poco a inasprirsi ma ancora non avevamo capito che cosa davvero ci aspettava. E ancora eravamo allegri. Ancora scattavamo le foto per la nostra serie ciclotoponomastica (ho trovato anche un cartello personalizzato che ci annunciava l’ingresso a “Bora”!).
“Queste sono le zone dove si allenava Pantani” ha buttato là a un certo punto Alberto, con nonchalance. Di lì a poco abbiamo trovato anche un graffito con tanto di foto, dedicato al “pirata” scalatore. E un certo sospetto mi è venuto…
È bastato dare un’occhiata alla conformazione collinare e alla strada davanti a noi perché il dubbio divenisse certezza. E da lì la salita non ha avuto quasi mai fine. A momenti mi è anche piaciuta. Finché non è diventata un muro. Finché è arrivato il temporale, e ho odiato tutti e poi ho amato tutti.
Siamo arrivati, alle soglie della disperazione, zuppi di sudore mescolato alla pioggia, alla Fattoria dell’autosufficienza. E ci ha accolti una doccia calda, e ci ha accolti lo staff sorridente di Macro Edizioni e di Macrolibrarsi, e ci ha accolto Francesco che qui ha creato un piccolo paradiso dedicato alla permacultura.
E ci ha accolti una splendida lezione di yoga della risata (Oh oh ha ha ha, eccome se ce la siamo risa!), e un doppio arcobaleno, e una vera yurta riscaldata in mezzo ai monti romagnoli. E un mare di pizze eccezionalmente buone cucinate per tutti sul momento in un forno a forma di tricheco (giuro!). E ci ha accolti il sorriso della gente, il falò e una jam session dei woofers ospiti qui. Una musica intensa in una notte dolcissima. Perché dopo il temporale, è arrivata una serenità profonda e gioiosa.
Insomma, che dire se non che la vita è meravigliosa?
testi e foto di Cristina Favento©